A Ciambra (Italia/USA/Germania/Francia/Svezia/Brasile, 2017) di Jonas Carpignano con Pio Amato, Koudous Seihon, Damiano Amato, Iolanda Amato, Patrizia Amato, Rocco Amato
Dopo Meditetranea, purtroppo visto da pochi eletti, Jonas Carpignano (classe 1984), promettente e attento osservatore delle realtà del Meridione, appartenente alla schiera sempre più nutrita di registi in grado di cancellare il confine tra fiction e documentario, continua a “studiare” il giovanissimo Pio Amato (as himself) e l’ambiente a lui circostante. Cresciuto nei pressi di Gioia Tauro, in una comunità di zingari calabresi (alla quale fa riferimento il titolo), il quattordicenne – assai credibile in quanto ben diretto, quindi non solo per ragioni di appartenenza – scalpita per entrare nell’età adulta, compiendo piccole azioni criminali che attestino le sue capacità. Non sa leggere, ammira il fratello maggiore (ma la famiglia è molto numerosa) e intesse buoni rapporti con altri gruppi ai confini della società, e in particolare con il burkinabé Ayiva (Koudous Seihon, a sua volta bravissimo). Sembra non accada granché, tuttavia il film è un crudo spaccato sulle etnie ai margini della società, sui loro costumi, sui discutibili percorsi di crescita che le caratterizzano; può scioccare vedere bambini che fumano pur non avendo ancora imparato a camminare bene, però l’autore (anche del copione), giustamente, coerentemente e coraggiosamente, sceglie di non arretrare di fronte alle sgradevolezze, di non suscitare facili empatie. Lo spettatore – qui sta il punto fondamentale – partecipa ugualmente, non giudica eppure constata.
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