Massimo Arciresi è critico e giornalista cinematografico, conduttore su Radio Spazio Noi – In Blu, dal 1997, della rubrica settimanale “Uscita di Sicurezza”. Ha collaborato con i quotidiani “Il Mediterraneo” e “L’Ora”, ha diretto il quindicinale sul tempo libero “TrovaPalermo” e attualmente scrive per il mensile “L’Inchiesta”. Appassionato di fumetti e lingue straniere.
BLAIR WITCH (id., USA, 2016) di Adam Wingard con James Allen McCune, Callie Hernandez, Brandon Scott, Corbin Reid, Wes Robinson, Valorie Curry
The Blair Witch Project – Il mistero della strega di Blair nel 1999 diventò un caso, non già per meriti orrorifici guadagnati sul campo, bensì per la campagna dei registi Myrick e Sánchez (oggi ripiombati nell’anonimato) incentrata sulla presunta veridicità della storia (idea che inaugurò il sottogenere del found footage). In realtà, fu la tecnica di ripresa a fare (purtroppo) scuola: del POV (Point Of View), utilizzato da qualcuno in passato, si è abusato molto negli ultimi anni (non solo in film del terrore), e a parte rarissimi casi (Redacted, The Bay) si è trasformato in un artifizio a volte irritante. Finito presto nel dimenticatoio il secondo capitolo girato a tambur battente (BW2 – Il libro segreto delle streghe: Blair Witch 2 di Joe Berlinger, del 2000), che peraltro s’infischiava delle peculiarità costituenti l’incredibile successo del precedente, ecco dal promettente Wingard di You’re Next il vero seguito, incentrato sulla spedizione organizzata dal fratello della scomparsa (nell’originale) Heather, accompagnato da tre amici e dai due sconosciuti coetanei che hanno trovato fra gli alberi l’inquietante video poi postato in rete e causa della curiosità degli altri. Gli eventi ricalcano il vecchio plot (il gruppo si perde, spuntano i simboli…), ma con più mezzi. A una cura per motivare le soggettive (gli auricolari con microcamera, un drone) non corrisponde un’assoluta coerenza. E gli spaventi sono ancora relativi.
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