Carver docet
«Andiamo».
L’uomo sulla sedia non si mosse. Lui allora lo ripeté più forte: «Andiamo!»
L’altro si girò verso di lui, lo guardò senza espressione e disse: «Andiamo. Ma dove?»
«Non vorrai stare ancora seduto qui su quella sedia per tutta la notte! Dai, svelto. Andiamo!»
«Dove? Non mi va. Voglio restare qui. Mi ci hanno lasciato poco fa. Sono stanco e depresso».
Spazientito, l’altro, cominciò a urlare: «Non me ne frega niente! Ti ho detto andiamo e basta!»
Poi, dopo una brave pausa. «Chi ti ha lasciato qui? A far cosa?»
Svogliatamente l’uomo sulla sedia bevve un sorso di birra, emise un piccolo rutto e visibilmente contrariato rispose: «Quello prima di te».
«Quello chi? Rispondi!»
«Quell’altro scrittore da strapazzo! Mi ha usato per un racconto di merda che è durato più di quindici pagine. Mi ha fatto subire di tutto: insulti, volgarità, pugni, calci. Mi ha infilato in una situazione del cazzo, mi ha fatto perdere la mia compagna e mi ha mollato qui dentro, da solo con questa birra calda e con un finale che non aveva né capo né coda. Può bastare? E adesso tu che vuoi da me?»
«L’ho appena letto. Quello è uno stronzo. Il racconto non vale una cicca. Può usarlo come carta igienica».
«Tutti uguali voi scrittori! Vi sentite sempre i migliori» – gli fece eco l’uomo sulla sedia – «Quello che fanno gli altri è sempre una merda, ma poi voi ve la suonate e ve la cantate. Non volete ammetterlo: scrivete in tanti ma non vi legge nessuno. Lasciami in pace quindi».
Lo scrittore, punto sul vivo, alzò il tono della voce e, quasi balbettando, replicò: «Ma come ti permetti di esprimere opinioni? Tu sei solo un personaggio, vuoi capirlo o no? E adesso alza quelle dannate chiappe dalla sedia e andiamo. Usciamo da qui..»
«Neanche per sogno. Da qui non mi muovo. Mi hanno già strapazzato abbastanza».
E giù un altro sorso di birra.
«Ascoltami bene». – replicò lo scrittore – «Potrei farti fuori in un istante. Adesso, subito e senza tanti complimenti».
«Già. Non ne ho alcun dubbio. Ma che razza di storia sarebbe? Ammettilo: non hai uno straccio d’idea e ti vuoi attaccare alle stronzate del racconto precedente».
«E anche se fosse?» – disse nervosamente lo scrittore – «T’ho trovato qui e oramai sei mio. Alzati e andiamo fuori. Se collabori, cercherò di farti avere un finale migliore».
«Sì… da guinnes dei primati degli sfigati…»
«Adesso basta. M’hai stufato. Usciamo. Alzati e cammina!»
«Lo vedi? Non sei neanche originale! Usi frasi fatte, dette e stradette. Ma sì… andiamo, dai. Vediamo dove mi porti» – disse vuotando la bottiglia di birra.
Lo scrittore aprì la porta. Una ventata d’aria gelida e notturna lo investì. L’uomo, alzatosi dalla sedia, apparentemente claudicante, fece qualche passo verso l’uscio. Lo scrittore lo lasciò passare per primo, poi, con studiata meticolosità, si girò per richiudere la porta.
Appena fuori l’uomo, approfittando del buio pesto, se la diede a gambe e sparì, complice la notte.
Lo scrittore fece solo a tempo a urlare: «Ehi!» Tentò un inseguimento, ma scivolò cadendo dal marciapiede.
Un’ombra, che passava sul lato opposto della strada, l’apostrofò. «Eh , mio caro… con la cultura non si mangia!» Poi girò l’angolo, si sbottonò la patta e pisciò contro il muro.
Sabino Russo
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