Dio è donna e si chiama Petrunya (Gospod postoi, imeto i’ e Petrunija, Macedonia/Francia/Croazia/Slovenia/Belgio, 2019) di Teona Strugar Mitevska con Zorica Nusheva, Labina Mitevska, Suad Begovski, Simeon Moni Damevski, Stefan Vujisic, Violeta Sapkovska
L’indolente e sgraziata Petrunya (Zorica Nusheva), laureata in storia e disoccupata, ha un pessimo rapporto con la madre, che insiste perché vada a fare un inutile colloquio di lavoro; il divario che intercorre tra loro è ben reso dall’irritato dialogo su due strade disallineate. Subita l’ennesima umiliazione (con tanto di ottusa molestia), l’ultratrentenne si trova ad assistere a un rito religioso ortodosso macedone: quando il pope lancia una croce di legno nel fiume (in realtà gli sfugge, e non è un dettaglio) e un’orda di maschi a torso nudo si getta in acqua per recuperarla (nel segno di un anno prospero), la donna – più per istinto che per consapevole provocazione – si tuffa e la ripesca per prima. Seguono un rancoroso scippo degli altri contendenti, ripreso dal pur perplesso sacerdote che impone la restituzione della simbolica reliquia, e alla lunga l’intervento della polizia. Lo “scandalo” consiste nella partecipazione femminile (solo teoricamente vietata) alla cerimonia. Dopo i primi frastornanti improperi, la protagonista comprende che deve tenere il punto; non può essere arrestata (da notare il semplice contrasto grafico durante gli interrogatori), ha modo di rivalersi (anche sulla miope genitrice!), la sua vicenda è diffusa da una giornalista (Labina Mitevska, sorella della regista, all’opera quinta) che si batte più consapevolmente per i diritti del gentil sesso. Ne viene fuori una bella lezione, per tutti.
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