Il romanzo più famoso di Vitaliano Brancati, conosciuto anche per la magnifica versione cinematografica con Marcello Mastroianni e Claudia Cardinale, è ambientato nella Catania fascista degli anni Trenta e narra la storia, triste e struggente, di Antonio Magnano, giovane bellissimo, amato dalle donne e ammirato (nonché invidiato) dagli uomini, per essere considerato un impareggiabile seduttore. Il dramma nasce quando Antonio si innamora della bella Barbara, la figlia di un notaio, e la sposa nella splendida e ricca cornice della città etnea, realizzando così il matrimonio perfetto agli occhi dei più. I due sono non soltanto belli, ma benestanti e di buona famiglia, e non ci vuole molto perché, in una mentalità ristretta e materialista che fa da sfondo alla vicenda, la coppia divenga l’invidia di tutto il paese. Dopo tre anni, però, si scopre la “vergogna”… il matrimonio perfetto non è mai stato consumato. Il bell’Antonio è impotente. Egli ama con i sentimenti più nobili e dal profondo del cuore la sua donna ma, forse anche proprio per questo, non riesce a possederla, a farla sua. E tanto basta perché la famiglia di lei chieda l’annullamento del matrimonio, procurando alla bella Barbara un matrimonio più conveniente del primo, e arrecando, invece, lo scandalo e l’ignominia su Antonio e tutta la sua famiglia. Fin qui la trama, che si evolve lenta ma inesorabile, come un destino crudele, e che comunque avrà un finale risolutivo e inaspettato che, in qualche modo, riscatterà l’onta del protagonista.
Ma cosa nasconde l’impotenza di Antonio? Certamente, una critica ironica, quanto amara e spietata, nei confronti del machismo imperante dell’epoca fascista, ma anche nei confronti del becero maschilismo di una società fondata solo sull’apparenza e capace di condurre alla rovina un uomo nel perseguimento dei propri squallidi interessi. Una sferzante analisi della politica del tempo e un’amara riflessione sulla condizione dell’essere umano in un contesto sociale bigotto e centrato solo sugli aspetti materialistici della vita.
Ma, oggi, in cui grazie al cielo l’impotenza sessuale fisica non è più un’onta, ma soltanto un problema da risolvere, cosa rappresenta per noi la vicenda del bell’Antonio? Un classico è tale perché è eterno, perché nella storia raccontata nell’ambito di un contesto spaziale e temporale ben preciso e delimitato, riesce a toccare corde e profondità del nostro animo che non hanno tempo e non hanno spazio, perché fanno parte della natura umana, della condizione esistenziale che la caratterizza e la identifica in quanto tale. Dunque, possiamo forse dire di non essere noi tutti, a volte, prigionieri e vittime dell’opinione che gli altri hanno di noi? Di non essere condizionati dal giudizio della società, implacabile e spesso irreversibile nei confronti del nostro “vero” modo di essere? E la potenza sessuale maschile, oggi come ieri, non rappresenta forse anche quel potere economico imperante, che fa giudicare un grand’uomo (o grande donna) soltanto chi è capace di guadagnare, di creare profitto economico, di far girare denaro e potere, mentre come impotente è visto, magari, il povero intellettuale, l’insegnante, il volontario, lo scrittore, l’artista, chi si nutre di idee, certamente nobili e socialmente utili, in quanto destinate appunto a migliorare la società, ma incapaci di produrre denaro, di essere economicamente quantificabili e, quindi, “inutili”? Questa, ovviamente, è la mia interpretazione. In ogni caso, una lettura da non perdere.
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