Una famiglia colta e agiata, un giardino che diviene culla di sogni, progetti, impegno civile e desideri nascosti, un gruppetto di giovani che vi si riunisce per allenare corpo e mente in quella palestra di vita che è la transizione fra adolescenza ed età adulta, un amore inizialmente timido e discreto che diviene, con il trascorrere dei giorni, sempre più forte ed esigente.
Questi sono gli ingredienti principali che ne farebbero un classico romanzo di formazione, se non fosse che la narrazione ha, come ambientazione, la Ferrara del fascismo e delle leggi razziali. Uno sfondo storico che ne caratterizza fin dal principio la vicenda fino a diventarne esso stesso protagonista. È così che le storie private dei personaggi si fondono con la storia, quella studiata sui libri di scuola, che qui prende forma, vita e sostanza e diventa memoria collettiva.
“Nella vita, se uno vuol capire, capire sul serio come stanno le cose di questo mondo, deve morire almeno una volta. E allora, dato che la legge è questa, meglio morire da giovani, quando uno ha ancora tanto tempo davanti a sé per tirarsi su e risuscitare”. Con queste parole, un padre cerca di spiegare al figlio, l’Io narrante del romanzo, il senso del dolore e della sofferenza.
Giorgio Bassani riesce a raccontarci la storia narrandoci semplicemente la vita, nella sua bellezza e nella sua crudeltà.
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