IL PROFILO SEGRETO, Rita Massaro

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«Commissario! Ha appena chiamato Vitrano. Per quella rissa a Ballarò!»

E che minchia vuole da me? pensò Raimondi, che era lì lì per andarsene a casa. «E che ha detto?»

«Che non riescono a domarla».

«Ma come? Ci sono andati in quattro! E che è sceso tutto il quartiere a darsele di santa ragione?»

«Pare che il rischio sia proprio questo. Dice se ci possiamo mandare rinforzi. Ancora meglio, se ci viene lei, commissario».

Raimondi sbuffò.

«Andiamo Mancuso. Fosse stato di giorno, con l’occasione almeno ci facevamo la spesa».

Si ritrovarono, nel giro di pochi minuti, in quella strada stretta che durante il giorno sarebbe stata una bolgia di venditori che abbanniavano, signore con i sacchetti della spesa, affaccendate a contrattare il prezzo, e turisti che si guardavano intorno meravigliati e al tempo stesso preoccupati a tenersi stretto il portafoglio. La notte solitamente i colori, i profumi e i suoni del mercato venivano sostituiti dai rifiuti, presi d’assalto dai cani randagi e dal silenzio, interrotto a tratti dai rumori provenienti da qualche televisore acceso. La maggior parte delle bancarelle era chiusa da saracinesche variopinte. Di recente qualche locale si era attrezzato per vendere la sera street food e alcolici, con tavolini e sedie di plastica all’esterno, seguendo l’esempio della Vucciria, che ormai aveva perso la sua caratteristica di mercato rionale per divenire uno dei fulcri della movida notturna cittadina.

Quella sera era sabato, però. E, dunque, c’erano più locali e diverse bancarelle aperte e si vedeva più movimento. Sulla loro testa pendevano delle luci colorate, sintomatiche di qualche festa religiosa che si era tenuta o avrebbe dovuto tenersi nel quartiere. Più avanti andavano, verso la piazza antistante la chiesa di Casa Professa, più si sentivano voci e baccano.

Quando arrivarono alla piazza videro un palco montato al centro, con degli altoparlanti che diffondevano tutto intorno musica napoletana. Una ragazzina, vestita con dei jeans a vita bassa e una maglietta troppo corta, che lasciava ampiamente ammirare i tre strati di grasso che ricoprivano il suo punto vita, stava urlando a squarciagola le note della canzone. Mancuso spiegò al commissario che si trattava dell’edizione locale del karaoke. Dai balconi dei palazzi fatiscenti, tutto intorno, arrivavano applausi scroscianti di signore sedute a guardarsi lo spettacolo. I profumi di stigghiole, panelle e fritture di vario tipo, provenienti dalle bancarelle degli ambulanti, si contendevano le narici di Raimondi, che quella sera non aveva ancora cenato.

«Ecco commissario! È da quella parte» Mancuso stava indicando un lato della piazza che si sporgeva verso una stradina chiusa, davanti alla quale sostava la volante della polizia, già giunta a destinazione. Vi trovarono l’agente Vitrano che, insieme ad altri due agenti, Carollo e Tumminia, cercava di calmare un gruppetto di facinorosi.

Ce n’erano due in particolare, giovani e di statura robusta, entrambi in jeans taroccati e canottiera, che continuavano a insultarsi in modalità scenografica, dinanzi a un pubblico che radunatosi lì intorno mostrava di gradire lo spettacolo, dando ragione ora all’uno ora all’altro. Un altro, più robusto, veniva tenuto fermo da un paio di uomini del luogo, che cercavano di calmarlo.

«Curnuti! Un l’avianu a fari, no!» diceva uno degli spettatori.

«A curpa fu d’idda. Fu idda ca ci fici perdiri a testa! ‘Sta gran buttana! Cu dui, poi!» dissentiva un altro.

«Sì, ma ‘u stissu un si fannu sti cosi!» interveniva un terzo.

Il commissario notò che, fra un’opinione e un’altra, si scolavano litri di birra e ingerivano roba che avrebbe mandato il suo fegato in tilt per un mese.

Finalmente, al loro arrivo, parve tornare un principio di calma. Raimondi si avvicinò a Vitrano. «Siamo riusciti a capire che cosa ha scatenato tutto ‘stu putiferio?»

L’agente, dopo essersi assicurato che i colleghi tenessero sotto stretta sorveglianza i due facinorosi, rispose: «Pare che la moglie di quello alto…»

«Sono entrambi alti» gli fece notare il commissario.

«Quello con l’orecchino e il ciuffetto biondo» specificò Vitrano.

«Ok, continua».

«Pare che la moglie di questo qui sia stata sorpresa in un magazzino, in compagnia…»

«Ho capito, ho capito…» indovinò Raimondi. «In compagnia di quello con cui il marito stava facendo a cazzotti».

«Non proprio. In compagnia di quello e del fratello di quello».

«Minchia!» esclamò Raimondi. «Cosa a tre?»

«Mah. Pare che la donna abbia dato appuntamento a entrambi i fratelli contemporaneamente. I due non l’hanno presa bene e si sono azzuffati. La zuffa ha richiamato l’attenzione del vicinato e, così, il marito e la famiglia di lui sono venuti a conoscenza della tresca».

«Sì, ma la tresca con chi?»

«Ancora non si è capito, commissario».

«Va bene. La donna dov’è?»

«È stata riaccompagnata a casa sua, che si trova lì di fronte, dall’agente Fiorella Di Noto. L’agente si trova ancora con lei».

«Come mai?»

«Per proteggerla. La moglie di uno dei due fratelli, il minore, quello con il fisico palestrato, la voleva accoppare. Se non c’erano un paio di amiche della poveretta, la levava di mezzo o, minimo minimo, le cavava gli occhi!»

«Insomma… la poveretta l’ha combinata grossa!» commentò Mancuso, che aveva ascoltato in silenzio tutta la conversazione.

«Sì. E ora, magari, la esponiamo alla lapidazione, Mancuso!» si incazzò il commissario. «E l’altro fratello qual è?»

«Quello stazzuto, con il pesce tatuato sul braccio».

«Che magari fa il pescivendolo?»

«E stavolta indovinò commissario. I due fratelli hanno una pescheria, qua a Ballarò».

Raimondi si avvicinò all’uomo in questione che, nel frattempo, qualcuno aveva fatto sedere su una sedia di plastica lì, in mezzo alla strada.

«Sono il commissario Raimondi» si presentò. «Lei è?»

«Giuseppe Scuderi» rispose, con un suono gutturale che aveva poco di umano.

«C’è un posto dove possiamo parlare con calma?»

Una donna, che doveva avere da un pezzo superato la cinquantina, anche come taglia, fasciata in un abito blu con degli strass sperluccicanti, lo invitò a seguirla all’interno di un portoncino. Salirono delle scale, alte e strette, giungendo al primo piano di una palazzina dal prospetto fatiscente. Come spesso accade, l’interno era tutta un’altra storia. Il salotto, dove la donna lo fece accomodare, era dipinto con colori vivaci, che dal giallo canarino in alcuni punti tendevano all’amaranto, ed era arredato con mobili moderni, che sapevano di ultima offerta ai grandi magazzini.

Giuseppe Scuderi, tallonato dall’agente Vitrano, l’aveva seguito e, ora, si era seduto su una poltrona davanti a lui. La signora, che lo Scuderi chiamava “mamma”, gli offrì qualcosa da bere. Il commissario dovette accettare un bicchiere d’acqua, dal momento che aveva la gola secca.

«Dunque» cominciò, rivolgendosi all’uomo. «Vuole spiegarmi cosa è successo?»

«Nenti. Un successi proprio nenti» rispose, con un certo rammarico.

Raimondi sbuffò: «E per niente ve le siete date di santa ragione?»

«Senta, commissa’. Le cose stanno così. A me quella mi invitò e mi diede appuntamento. E io comu mi putia arrifiutari?»

A quelle parole, una donna, che origliava nascosta dietro una porta che dava sul salotto, cominciò a piangere e altre due cercavano di calmarla. Non gli ci volle molto a capire che doveva trattarsi della moglie dello Scuderi.

Il commissario ordinò a Vitrano di far allontanare la donna, voleva che lo Scuderi si sentisse libero di parlare.

«Mi spieghi meglio» disse, poi, tornando a lui. «In che modo l’avrebbe invitata?»

«Mi contattò su Facebook» fu la risposta sibillina. Lo Scuderi lo disse come se fosse stata la cosa più naturale del mondo.

«Dove?» esclamò, invece, stupito Raimondi.

«Su Facebook. Lo sa che cos’è?»

«Sì, sì. Lo so. Andiamo avanti».

«Mi contattò con un profilo segreto. Per non farsi scoprire dal marito, che ogni tanto la controlla. Così mi disse. E ha cominciato a farmi… insomma, ha capito, no?» domandò, con sguardo ammiccante.

Il commissario fece finta di non capire.

«Insomma, quella mi faceva proposte! Diceva che ci facevo sangue. Che mi voleva succhiare…»

«Va bene, va bene!» lo bloccò Raimondi. «Non occorre che scenda nei particolari. E quindi?»

«E, quindi, dagli oggi e dagli domani… ci sono caduto, come uno stronzo». A quell’ammissione, Vitrano tistiò. Raimondi lo guardò male. L’uomo, nel frattempo, continuava. «Mi diede appuntamento nel magazzino, alle otto di stasera. Che ne sapevo io che quella troia mi stava prendendo per il culo? Che aveva dato appuntamento, nello stesso posto e nella stessa ora, puru a quel coglione di me frati?»

«Picchì coglione? Masculu sì tu e masculu è iddu! É chidda a buttana! Una gran buttana, ecco chi è!» esclamò, a quel punto, la mamma dello Scuderi.

«Signora!» la rimproverò il commissario. «La prego di non intervenire. Altrimenti, dovrò farla uscire dalla stanza».

Vitrano, che nel frattempo era tornato, assisteva alla scena divertito.

«In conclusione, mi faccia capire» riprese Raimondi. «Si è trattato di uno scherzo?»

«E chinni sacciu? Io, quando arrivai, attrovai quella troia che si stava appurpiando cu’ Tanino. Perciò, pensai che lo scherzo me l’avevano fatto tutti e dui».

«E, per una mano, si è preso di petto suo fratello» commentò Vitrano, che aveva già avuto modo di sentire la testimonianza di Tanino su come erano andate le cose.

«E lei che avrebbe fatto al mio posto? Volevo vedere se una fimmina zoccola vi prendeva per il culo insieme a vostro fratello! Me le hanno scippate dalle mani, commissa’!» si rivolse a Raimondi, cercando comprensione. «Senza contare che mi hanno pure messo nei bordelli con mia moglie!»

«Bé, se non ci andava all’appuntamento, non si metteva nei bordelli con nessuno, mi pare» commentò il commissario. «Va bene, ora fatemi parlare con Tani… ehm, con l’altro signor Scuderi».

Vitrano fece accomodare fuori lo Scuderi grande, Giuseppe, e fece entrare quello nico, Antonio, alias Tanino.

Il giovane, capelli corti gellati in testa e occhi furbi, portava jeans stretti e una maglietta aderente, che lasciava ampiamente ammirare il fisico atletico e muscoloso. Doveva essere vanitoso, ma al commissario, a primo acchitto, parve meno coglione del fratello.

«Vuole raccontarmi anche lei cosa è successo?»

«Nenti successi».

Eccolo l’avutru, pensò il commissario. Si schiarì la voce e rifece la domanda. «È lei che ha dato appuntamento alla signora… a proposito come si chiama…» stava per fare la domanda a Vitrano, ma la signora Scuderi madre lo precedette.

«La zoccola? Valentina Cavallaro, si chiama».

«Ora basta!» Raimondi s’incazzò. «Vitrano, per cortesia, fai accomodare fuori la signora».

«Torniamo a noi. Lei ha dato appuntamento alla signora Valentina» riprese Raimondi.

«Ma quannu mai? Commissa’, io non diedi appuntamento proprio a nessuno!»

«E, allora, che ci faceva nel magazzino con la Cavallaro?»

«Fu lei che mi diede appuntamento!»

«Ah, ecco. Ora ci siamo. E lei, però, c’è andato!»

«E certo commissario! Ma lei l’ha vista a Valentina?»

«No. Non ancora».

«E, allora, se la vada a taliare e, poi, mi dica se, al mio posto, non ci andava!»

«Certo. Capisco. Solo un coglione non ci sarebbe andato!»

«Appunto».

«Pure se ha moglie e figli… A proposito, lei ha moglie, vero?»

«Effettivamente, sì» ammise Tanino.

«E pure figli magari?»

«Sì, due».

«Bene, bene. Questa Valentina le ha dato appuntamento. Ma sarebbe stata la prima volta o la cosa durava da tempo?»

«La prima volta».

«E come l’ha contattata? Aspetti, aspetti… Su Facebook, vero?»

«E come fa a saperlo?»

«Magari da un profilo segreto?»

«Esatto. Perché aveva paura che il marito la scopriva».

Raimondi e Vitrano, a quella risposta, si scambiarono uno sguardo significativo.

«E, poi, cos’è avvenuto?» continuò il commissario.

«Ci siamo visti all’ora stabilita al magazzino. Ma, non erano passati nemmeno cinque minuti… Mi creda commissario, non c’è stato il tempo di fare niente! Mio fratello scoppò lì dentro e cominciò a fare come un pazzo, un bordello della Madonna! Prese a lei a maleparole e, a mia, poco ci mancava ca mi mannava o ‘spitali! Io m’avia a difenniri!»

«Suo fratello pensa che lei e la Valentina avevate una tresca da tempo e gli avete dato appuntamento lì per prendervi gioco di lui» gli buttò lì il commissario.

«Ma che fa cugghiuniamu?» esclamò Tanino, alzandosi di botto dalla poltrona.

«Oh, stia calmo! E stia seduto!» gli urlò Vitrano.

«Ma chi è scimunitu? Tuttu ‘stu gran casinu pi farici uno scherzo cretino? Io sugnu maritatu, cu’ du figghi, e idda puru! U capisci chi significa? Un bordello!»

«Va bene, va bene. Andiamo a parlare con questa signora Cavallaro».

Mentre scendevano le scale, Vitrano volle dire la sua.

«Commissa’, ma a ‘sto punto, lei non pensa che fu ‘sta Valentina a fare lo scherzo a entrambi i fratelli?»

«Certo! Come no? Per farsi prendere per buttana da tutto il quartiere!»

L’agente si rese conto di aver detto una corbelleria e, a occhi bassi, fece strada al commissario verso la casa della Cavallaro, che si trovava dall’altro lato della strada, a pochi metri da quella degli Scuderi. Sul marciapiedi sostavano ancora dei capannelli di persone. Mentre attraversavano, Raimondi gli domandò chi fossero le mogli dei due pescivendoli.

«La vede quella alta, robusta, con i capelli neri?» rispose, indicando una donna, che si lamentava e si dimenava sul marciapiede, in mezzo a un gruppetto di signore.

«Sì. È la moglie di Giuseppe?»

«No, del minore Tanino».

«È quella che voleva ammazzare la Cavallaro?»

«Esatto».

«E la moglie dell’altro dov’è?»

«Veramente, fuori, non si è vista. È rimasta in casa tutto il tempo. Poco fa, quando era dietro la porta a origliare e le ho detto di uscire, è andata a chiudersi nella sua camera. Era insieme a una sorella degli Scuderi e a un’altra donna, che la consolava».

Strano, pensò il commissario.

Quando giunsero a casa della Cavallaro, trovarono la famiglia della sventurata in subbuglio. In salotto, il marito cornuto veniva da alcuni calmato, da altri aizzato contro la moglie. Si passava dal conciliante «perdonala, un momento di sbandamento fu» al perentorio «iettala fora, senza pietà». «E chi picciriddi comu fa?» interveniva un altro, pragmatico. La donna si era chiusa a chiave in camera da letto, in compagnia di due amiche. Davanti la porta, stava ancora di guardia l’agente Fiorella Di Noto, che perse almeno cinque minuti per convincerle ad aprire, per fare entrare i due poliziotti. Finalmente ci riuscì. Il commissario, a quel punto, la mandò a casa degli Scuderi, in supporto di Mancuso e degli altri due agenti. Raimondi e Vitrano furono fatti accomodare in due sedie sistemate di fronte al letto, sul quale la novella adultera si stava sciogliendo in lacrime, consolata dalle due amiche. Quando si ricompose, poterono ammirarla nella sua statuaria bellezza. Alta e formosa nei punti giusti, pelle levigata e leggermente abbronzata, occhi verde smeraldo e capelli neri, ricci e lunghi, Raimondi pensò che avrebbe potuto benissimo rappresentare la figura della tentazione in qualche sermone pastorale.

«Posso farle qualche domanda, signora?» cominciò il commissario.

«Prego» rispose con voce sottile che, però, non l’ingannò.

«Mi vorrebbe spiegare come mai si è recata all’incontro con…?»

La donna, però, non lo fece finire e sbottò.

«Senta commissario, mio marito un bel paio di corna se le meritava proprio! Tutte sane se le meritava!»

Le amiche assentirono, con espressione di compatimento.

«Ah. E come mai?» A Raimondi venne un sospetto, che avrebbe potuto spiegare molte cose. «Suo marito, per caso, ha un’amante?»

«Magari, Signore Iddio! Magari!» esclamò, invece, la donna. Il commissario e Vitrano si guardarono alquanto turbati.

«L’avesse avuta, pure io avrei avuto a qualcuno a cui spaccare la faccia!» continuò la Cavallaro. «E, invece, no!»

Raimondi iniziò a sudare. Cominciava a temere che la faccenda si sarebbe rivelata un po’ più complicata del previsto.

«Mi faccia capire, signora. Suo marito meritava le corna perché non aveva un’amante?»

«Commissario, non faccia finta di non capire!»

Raimondi, disperato, guardò Vitrano nella speranza di essere illuminato. Ma si rese conto che era come guardare uno zibaldone in sanscrito. L’agente era più disorientato di lui.

«Commissa’» intervenne una delle amiche, con grande sollievo dei due poliziotti, che sperarono di poterci capire qualcosa. «Un cinn’è chiù ommini. Un cinn’è chiù. Fineru. Sulu pupiddi frarici arristaru. Nuddu ca sapi chiù sparari».

Raimondi, stordito, spalancò gli occhi e rispose alterato.

«Ma che va dicendo, signora?»

«Andiamo commissa’! Ma che ha capito? Io parlavo di quella pistola!» chiarì la donna, indicando inequivocabilmente con lo sguardo un punto fra le gambe del poliziotto.

Raimondì ci mise almeno dieci secondi per riprendersi dall’imbarazzo. Vitrano, cominciò ad avere delle scosse, nel tentativo di dominare la risata. Il commissario lo fulminò con gli occhi e riprese con voce alterata, perché cominciava a ribollire di rabbia.

«Ora basta! Signora Cavallaro, non siamo qui per farci prendere per i fondelli! Perciò, torniamo seri, per cortesia!»

«Ma è una cosa seria, mi creda!» esclamò la donna, fra l’isterico e il piagnucoloso. «Quel pappamolla mi tradiva! Ma non con una femmina in carne e ossa, no! Se ne stava tutta la notte davanti a un computer! Gli mandavano certe foto e filmini osceni, donne da tutte le parti del mondo! E quello, preferiva farsela da solo, davanti a quel coso, piuttosto che soddisfare sua moglie che lo aspettava, pronta e calda, nel letto! Me lo dica, commissario! Che uomo è uno così? Che razza di uomo è? Che sono da buttare, io, che mi preferisce una foto o un film? Mi risponda! Sono da buttare?»

«No, no» rispose Raimondi, preso in contropiede.

«Ma lei ce la farebbe un’offesa simile a sua moglie?»

«Io non sono sposato» ebbe l’ardire di rivelare.

A quell’affermazione gli occhi delle tre donne si illuminarono.

«Ma vero, commissario? E come mai?» gli chiese l’unica che, fino a quel momento, non aveva parlato. Vitrano cominciava ad avere i crampi allo stomaco.

«Torniamo a noi». Raimondi fece finta di non avere sentito. «Suo marito la tradiva con Facebook. Dico bene?»

«Sì, sì. Su Facebook».

«E, quindi, lei, per vendicarsi, si è creata un profilo fasullo e ha cominciato a stuzzicare gli Scuderi».

La donna lo guardò strammata.

«Ma che dice, commissario? Io unn’è inquetatu a nessuno. Fu iddu ca mi cercò».

«Lui, chi sarebbe? Giuseppe Scuderi?»

«Giuseppe? Si figuri se ci avrei dato corda a quello! Ma l’ha visto? Pare uno scimmione scappato dal circo!»

«Allora, era l’altro fratello? Il minore… Tanino?»

«Sì, certo. Tanino è un’altra cosa». Le amiche assentirono. «Mi contattò lui su Facebook».

«Da un profilo segreto, immagino» indovinò il commissario.

«Bravo! Per non essere scoperto dalla moglie».

«Chiaro. E, poi?»

«E, poi, niente. Dopo un po’, mi diede appuntamento al magazzino, stasera alle otto. Io ci andai per incontrare lui. Che ne sapevo che quel pazzo di suo fratello ci avrebbe sorpresi e si metteva ad abbanniare a quel modo?»

«Ma lui sostiene che è stata lei a dargli appuntamento al magazzino a quell’ora».

«Io? Ma chistu proprio pazzo è!»

«Va bene. Possiamo andare» concluse Raimondi che, dopo tutto, aveva saputo ciò che gli interessava sapere.

Vitrano, uscendo da quella casa, domandò.

«Commissà, ma lei pensa che qualcuno gliel’ha combinata?»

«Per forza! Si è creato due profili fasulli. Con uno fingeva di essere la Cavallaro e adescava entrambi i fratelli. Con l’altro ha finto di essere Tanino Scuderi e ha preso all’amo la signora».

«E chi può essere stato?»

Raimondi non rispose subito. Sarebbe stato opportuno dare l’indagine in mano alla polizia postale. Si poteva arrivare facilmente al computer che aveva creato i due profili. Ma, forse, non ci sarebbe stato bisogno. Disse a Vitrano che voleva ritornare dagli Scuderi e parlare con le due signore.

Poco dopo si trovò nuovamente seduto nel salotto di poc’anzi, con di fronte le due signore. La moglie di Tanino, un donnone che rispondeva al nome di Filippa, appariva ancora imbufalita e l’agente Fiorella Di Noto, che prima aveva protetto la Cavallaro dai suoi assalti, faticava ancora a tenerla a bada. La moglie del maggiore, invece, se ne stava silenziosa e rannicchiata in una poltrona. Raimondi la osservò a lungo, prima di cominciare. Si chiamava Simona. Sembrava molto giovane, forse sulla ventina, era piccola e magra, biondina, con un visino da adolescente. Aveva saputo che era sposata da due anni con lo Scuderi e ancora non avevano figli. C’era qualcosa che stonava in quelle due coppie, pensò. Gli sarebbe apparso più logico che la giovane fosse stata sposata a Tanino e il donnone allo scimmione, alias Giuseppe. Era come se le due coppie si fossero scambiate.

«Signora» cominciò, rivolgendosi a Filippa. «Lei ha un profilo su Facebook?»

La donna lo guardò come se l’avesse insultata.

«Ma che dice? Io non le frequento quelle porcherie! E, poi, non lo so usare il computer».

Il commissario le credette sulla parola. Poi, si rivolse alla ragazza.

«E lei? Lei lo sa usare il computer?»

«E per forza!» intervenne l’onnipresente suocera. «L’anno scorso ha fatto un corso, Simona. Promossa fu, a pieni voti».

Bingo! pensò Raimondi. Poi, ordinò a Vitrano di far uscire tutti, tranne Simona.

Quando si ritrovarono da soli, lui le parlò con voce calma, pacata.

«Vorrei che mi dicessi perché hai combinato ‘sto gran casino. È inutile che neghi, tanto lo so che sei stata tu».

La ragazza non rispose. Non lo guardava neppure e continuava a tenere gli occhi bassi, fissando un punto imprecisato sul pavimento.

«Simona, non sarà difficile avere le prove. Hai fatto un corso di computer, perciò lo sai che niente può essere cancellato».

Lei, finalmente, alzò gli occhi su di lui. Il commissario si sentì colpito da una lama di ghiaccio. Quegli occhi, grigi e freddi, sembravano refrattari a qualsiasi emozione. E, invece, era esattamente il contrario, pensò lui, prima ancora che lei iniziasse a parlare.

«È iniziata l’anno scorso, quando lui mi accompagnava al corso di computer».

«La tua tresca con Tanino?»

«Non è una tresca. Noi ci amiamo».

Raimondi non riusciva a credere all’ingenuità della ragazza. Ne avrebbe quasi sorriso, ma aveva una sorta di boccone amaro bloccato in gola.

«Continua» la sollecitò, stavolta dolcemente.

«Noi vorremmo scappare insieme, ma lui dice che non può fare questo alla famiglia. Pensa alla moglie, ai figli».

«E, così, tu hai pensato bene di far scoppiare il putiferio. In questo modo, la famiglia è già scassata e i suoi scrupoli possono andare a farsi benedire».

Lei rimase in silenzio, ammettendo implicitamente l’ipotesi del commissario.

«E non eri gelosa del fatto che, per arrivare a questo, lo stavi gettando nelle braccia della Cavallaro?»

«Tutti gli uomini hanno delle amanti, ma amano una sola donna».

«Ma se non amavi tuo marito, perché l’hai sposato?»

Lo guardò come se le avesse fatto la domanda più stupida del mondo.

«Era l’unico modo per scappare dalla mia famiglia, da mio padre».

«E non era meglio trovarsi un lavoro?»

La ragazza scoppiò a ridere.

«Mi fecero arrivare alla terza media per miracolo. Me lo dà lei un lavoro? Mia suocera dice che non sono buona nemmeno a lavare le scale. Dice che sono troppo secca».

«E perché volevi scappare dalla tua famiglia?»

Raimondi si pentì quasi subito di quella domanda.

«Mio padre me le dava di santa ragione, tutto il giorno. E la notte veniva a trovarmi nel letto».

«E, secondo te, come faccio a crederti, dopo quello che hai combinato?»

«Non si preoccupi. Tanto ci sono abituata… a non essere creduta. Mia madre non mi credeva. Diceva che la troia ero io, che lo provocavo».

«Perché non l’hai denunciato?»

«L’ho fatto. Avevo sedici anni. I servizi sociali mi hanno tolta da casa e mi hanno mandata da mia nonna. Per non perdere i legami familiari, mi hanno spiegato. Papà è stato assolto. Non mi hanno creduta. Mamma e la mia famiglia hanno detto che mi inventavo le cose. E così, passato un poco di tempo, papà veniva a trovarmi dalla nonna. Più incazzato di prima».

Raimondi la fissò in silenzio. Non c’era più niente da dire.

«Che cosa mi farete, adesso?» domandò la ragazza.

Niente di più di quanto non ti abbiamo già fatto, pensò.

FINE

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Mi chiamo Rita Massaro. Sono una persona curiosa. Mi piace scoprire gli innumerevoli volti del mondo e le infinite possibilità della vita. Per questo leggo e viaggio. Ogni tanto le mie perlustrazioni scatenano la mia immaginazione. E scrivo. Ho pubblicato nel 2011, con la Casa Editrice Absolutely Free, un romanzo di formazione dal titolo "L'estate è finita". Nel dicembre 2016 è stato pubblicato il mio secondo romanzo, "Sotto il cielo di Santiago", con la Casa Editrice Genesis Publishing. Nel 2018 "Prima che sia primavera" con Il Seme Bianco, pubblicato in seconda edizione con il titolo "La terra del lungo inverno" con Emersioni. Ho partecipato a vari progetti di scrittura collettiva, tutti pubblicati nel 2020: "La villa delle ombre", con Stefania Agnello e Maurizio Bono; "Non ho forza per arrendermi", con Letizia Lo Cascio; "A casa: Diario di una pandemia" con Monica Spatola. Potete contattarmi su Facebook al seguente link: https://www.facebook.com/ilgirodelmondoconunlibroinmano