IVAN IL TERRIBILE, Maurizio Bono

AC4BF_PC_4PACKSHOTS_FINAL.indd– FOTO PRELEVATA DAL WEB –

Oggi ho nuovamente il piacere di farvi leggere un altro entusiasmante racconto di Maurizio Bono, uno degli autori più amati dai lettori di storiebrevi.it. Buona lettura!

IVAN IL TERRIBILE

È buio.

L’aereo è invisibile ai radar. Noi siamo in otto. Tutti addestrati. Tutti col proprio nome di battaglia. Il mio è Ivan. Ivan il Terribile. E siamo pronti. Siamo pronti a tutto.

Tra un po’ salteremo giù. Con il nostro compito. La nostra strategia. Se restiamo vivi, ci rivedremo tutti nello stesso punto. Senza dirci niente. Solo piccoli cenni. E poi dritti verso l’obiettivo. Stanare Black Jack. Il trafficante d’armi. La sua banda. La sua famiglia. Dobbiamo sterminarli tutti. Non ci chiediamo perché. Gli ordini non si discutono. La nostra opinione non è richiesta. E noi non siamo addestrati ad averne una. Dobbiamo raggiungerlo. Distruggerlo. E quando tutto sarà finito aspetteremo un altro aereo. Che ci riporti alla base. Possibilmente vivi. Per morire c’è ancora tempo.

Stiamo volando. Anche dentro di noi. Oscuri. Impenetrabili. E duri come rocce. Siamo blocchi di granito. In attesa di un segnale. Che arriva puntuale. Alla quota stabilita. Sopra l’isola di Zorn.

Siamo a un’altezza di diecimila metri. È ora di sganciarsi.

Così ci lanciamo. Uno dopo l’altro. Noi che ora siamo invisibili. Agli altri. A noi stessi. Io sono un incursore. Un albatros notturno. Aprirò il paracadute a trecento metri dal suolo. Resterò sospeso come lo è la mia vita. Nel vuoto più denso. E penserò con ogni pensiero possibile. Fino a quando avrò toccato il suolo. La terra. Sperando di non sprofondarci dentro.

Poi un tonfo. Sordo. Qualcosa che non ha funzionato. Il GPS ha sbagliato posizione. E mi ritrovo lontano dalla terra. Lontano dall’obiettivo. L’acqua intorno all’isola di Zorn è calda come una giornata al polo. E vuole inghiottirmi. Masticarmi. Digerirmi. Ma io sono addestrato. A non sentire il dolore. A sciogliermi col calore del mio sangue. Così mi libero dal paracadute. E comincio a nuotare. Con me ho due semiautomatiche. Un machete da combattimento. Il coltello di Rambo. Una balestra lancia arpione con mulinello. Un kit di sopravvivenza. Una Bibbia portafortuna. Tutto dentro uno zaino. Che mi spinge verso il fondo. Mentre io resto a galla. Pensando che in fondo è questo quello che conta.

Sono a cinquecento metri dalla riva. E a questa distanza posso permettermi di pensare. Lasciare che la mia mente vada. Mentre il mio corpo scivola sul mare come un siluro. Potrei dividere le acque. Ma non sarei originale. Copiare un’altra missione non è da me. Mi restano gli ultimi cinquanta metri. Li percorro con tutta la forza della mia disperazione. Con la determinazione di un uomo vero. È come se camminassi sul velluto. E mi ritrovo a toccare terra.

Devo solo alzare gli occhi. Riprendere fiato. Guardare le rocce aguzze che ho davanti. E finalmente cominciare la partita. Il piccolo specchio che tengo in mano mi ricorda che sono sempre un soldato. E che il mio nome è Ivan. Ivan il Terribile… Ivaaaaann…

Qualcuno mi chiama. Mi giro guardingo. Tutt’intorno nessuno. Saranno le voci della coscienza. Il mio spirito che vorrebbe parlarmi. Ma non c’è tempo. Così chiudo gli occhi. Per non sentire più nulla. Quella voce. Il mio nome. Ora guardo la scogliera. Sorrido. Si comincia.

Scalare le montagne è la mia specialità. Mi accorgo che continuo a pensare. Mentre salgo gli speroni di questa roccia aguzza. Saranno gli anni. Le missioni. Sciocchezze! Le mie ferite. Tanti piccoli tagli che bruciano come un incendio d’estate.

Sento l’aria che si sposta. E qualcuno lì fuori. Qualcosa. Non so chi. Improvvisamente due artigli mi afferrano il collo. Poi un verso penetrante mi lacera i timpani. Sono attaccato da uccelli. Notturni come il mio volo. Ma ho un coltello tra i denti. Così con la sinistra resto aggrappato alla roccia. E con l’altra tiro fendenti che tagliano l’aria. E con essa tutti quei volatili che cercano di strapparmi le carni. Lasciandomi all’osso. Fino a quando non li sento più. Sono ancora vivo. Per Dio! E ho ancora una vita. Spero di spenderla nel modo giusto. Io mi spenderò per viverla. Perché in fondo resto sempre Ivan. Ivan il Terribile… Ivaaaaaaannn

Ancora quella voce. Quella voce maledetta e nessuno intorno a me. Non capisco. Forse non ho mai capito niente. Ci penserò domani. Quando tutto sarà finito. Adesso non posso. Neanche volendo. Ho i sensi allertati. I muscoli tirati allo spasimo. Nel buio. Nel gelo di questa nottata glaciale. Una missione da portare a compimento. E non posso fare altro che salire. Se voglio vivere ancora. Salire… Salire…

Le mie energie si stanno esaurendo. La scalata è più dura del previsto. Devo fermarmi. Una sosta breve. Ma devo. Poi metto un piede in fallo. Ci voleva pure questa. Scivolo per qualche metro. Temo il peggio. La fine. Il dirupo. Ma mi ritrovo su una superficie piana. Ancora intero. Qualche passo. Di lato. La parete si incurva improvvisamente. E dietro, una caverna.

Mi ritrovo tra le mani un accendino. Giro la ruota zigrinata. Una scintilla. E vedo solo topi. Tanti. Troppi. La caverna ne è piena. E sono grandi. Grossi. Nulla a che vedere con Topolino. La mia espressione assume i contorni di Paperino. Sono arrabbiato. Un altro inutile e stupido contrattempo. Niente di lontanamente epico. Sarà un’altra ordinaria mattanza. Sulla mia sinistra vedo quel che resta di una fiaccola. Ho del liquido infiammabile col quale provo ad accenderla. Bingo! E nella caverna si fa giorno. I muscoli si scaldano. I nervi si tendono. Stavolta tocca al mio machete. E al mio grido inizia lo sterminio.

Mi sento pieno di energie. Ricco di endorfine. Il sangue dei roditori mi eccita. Mi da un certo vigore. Neanche il tempo di fare mente locale e una sagoma lontana si muove. Quello che ho davanti è davvero sconcertante. Un guerriero d’altri tempi. Con la testa di un ratto e la coda di un alligatore. Uno scherzo del destino. Non può essere vero. Eppure c’è. Esiste. E vuole me. Il machete non basterà. Penso alle semiautomatiche. Ne impugno una. Gli scarico addosso l’intero caricatore. Tempo perso. Solo buchi nell’acqua. Tanti. Come i topi che ho ucciso. La sagoma sembra invincibile. Intoccabile. Mi sento quasi finito. Comincio a correre. Ma quella strana creatura usa la sua coda. Con violenza e destrezza. Frantumando le rocce che mi fanno da riparo. E io non so più dove andare. Da che parte spostare le mie membra. Un ultimo colpo di coda e mi ritrovo al suolo. Ferito. Spacciato. Nel mio zaino ho un’altra semiautomatica. Devo prenderla. Provare ad usarla. Con intelligenza. Poi penso agli occhi. Se li colpissi non mi vedrebbe. E chi non vede non sente dolore. Così apro lo zaino. E quando trovo l’arma faccio partire la prima raffica. Poi la seconda. Lui è accecato dall’ira. Perché il giorno dell’ira è arrivato. Mentre mi rialzo prendo in mano il mio machete. L’appendice del mio braccio destro. E con tutta la forza ritrovata glielo conficco in mezzo agli occhi. Ormai ciechi. Così lo spengo. Lasciando che precipiti nell’Ade. Dove morirà. Una volta e per sempre.

Sono in piedi. Tutto intero. E soprattutto sono vivo. Ho sconfitto l’ignoto. Quell’essere che era altro. E mentre scariche di adrenalina viaggiano nel mio corpo. Mentre gonfio il mio petto, fiero di essere un soldato. La solita voce che irrompe veemente… Ivaaaaaaannn

Niente da fare. Quel grido mi perseguita. Credo sia la mia coscienza. Che vuol farsi sentire. Perché io riscopra i valori di una volta. Ma come posso? So dire solo Signorsì! Vorrei diventare sordo a quella voce… Sordo a quel nome… Meglio andare per la mia strada. Meglio non pensarci più.

Uno sguardo verso l’alto. La sommità non è poi così lontana. Forse con la balestra potrei farcela. Ci provo. Prendo la mira. Scelgo un punto sicuro. E premo il grilletto. Un sibilo nell’aria. L’arpione a quattro punte si conficca nella roccia. Il filo è sottile. Ma resistente come l’acciaio. Tiro con forza. Sento che reggerà il mio peso. Aziono il mulinello elettrico. Così ricomincia la salita.

Sono arrivato in cima. Da qui solo l’immensità. Una rapida occhiata al GPS. Per cercare il prossimo obiettivo. Il cimitero delle scimmie. Un segnale luminoso mi dice che è vicino. Quasi un chilometro in linea retta. Controllo quello che rimane del mio equipaggiamento. Bevo un po’ d’acqua fresca. E comincio a correre.

Le prime luci dell’alba rimbalzano sull’erba. La bellezza dei luoghi. La meraviglia della vita. Mi avvicino alle tombe. Semplici ceppi di pietra grigia. Finemente lavorati. E decorati con dipinti. Raffigurano scimmie che danzano. Mangiano. Saltano. In tutti si nota uno stile similare. Tranne in uno. Il più grande. Il più grezzo. Dove la scimmia non è dipinta. Ma incisa. Senza grazia. Con uno scalpello di fortuna. O con una pietra scheggiata dal vento. Il ceppo porta con se parole antiche. Di un linguaggio ormai dimenticato. Che raccontano della chiesa di St. Jude. E del male che lì dentro trionferà.

Sfioro appena quelle lettere. Contenute all’interno di un cerchio perfetto. E il ceppo si sposta. Ruotando verso destra. E sotto di esso una nicchia con una mappa. La pianta della chiesa di St. Jude. Lontana solo un paio di chilometri a est. Dal punto in cui mi trovo adesso. E già le sento. Che stanno arrivando. Le scimmie che urlano. A cui ho profanato le tombe degli avi.

Devo fare in fretta. Ma non faccio in tempo. La prima me la trovo davanti all’improvviso. È alta quanto me. Mi mostra i denti. Mi sembrano un po’ troppi. Io ho il mio fedele machete. E il pugnale di Rambo. Li uso entrambi. Siete morte, canaglie!

L’alba ha già varcato le porte della notte. Non so quante di loro sono ancora vive. La chiesa di St. Jude è proprio qui. Davanti a me. Sono arrivato a destinazione in un battibaleno. E mi chiudo dentro.

St Jude è bellissima. Sarà la luce di Dio! Gli archi ogivali. Le colonne polistili. I vetri decorati. Peccato per quei monaci vestiti di nero che imbracciano una falce più lunga della morte. Non tutto nella vita può essere perfetto! Mi faccio il segno della croce. E comincio a sparare. I loro corpi cadono per terra come grandine d’agosto. Le loro lame però mi hanno fatto il pelo. In barba alle loro preghiere. Il sangue mi scivola addosso. Troppo caldo perché ne beva un sorso. E quando l’ultimo saio cade, sotto i miei colpi, penso che non mi salverò mai. Né in questa vita né in un’altra.

Sono ancora in piedi. Grazie a Dio tutto intero. Ivan il Terribile c’è ancora. Ed è solo con se stesso. E con la sua tenacia. Manca ancora l’ultimo tassello. Il completamento della missione. Black Jack e la sua famiglia. Poi ancora quella maledettissima voce… Ivaaaaaaaaannn… Ivaaaaaaaaannnn… Ora Basta! Vieni fuori se hai coraggio! Fatti vedere! Non so chi sei! Non so da dove vieni, ma vieni fuori! Questa voce mi inquieta. Mi impaurisce. E mi distrae. E mentre cerco di capire. Mentre voglio fare luce su questo mistero. Non mi accorgo di Black Jack. E della sua pistola. Un solo bang. Un colpo in piena fronte E Ivan il Terribile non c’è più!

Sono a terra. Esangue. In questa fottutissima chiesa di St. Jude. Ho fallito la missione. Cazzo! Ho perso la mia unica vita. E mentre mi vedo così, un fallito riuscito, sento nuovamente quel timbro infernale che mi chiama… Ivaaaaaaaaannnnnn… Ivaaaaaaaaaaaaaannnnnnnnnn… Poi qualcuno mi toglie le cuffie.

«Merda d’uomo che non sei altro! Ti chiamo da un’oraaaaaaa! Tu e i tuoi stupidi maledettissimi videogiochi online con quegli altri imbecilli dei tuoi amiciiiiiii! La cena si è freddata come al solito e io sono stanca! Lo capisci? Sono Stancaaaaa! Non puoi giocare per sempre! Non puoiiiiiiiiii! È l’ultima voltaaaa! Giuro che, se lo fai di nuovo, me ne torno da mia madre e ti lascio a marcire col culo per terraaaa!»

Sapete cosa penso? Penso che forse ho lasciato una scimmia urlatrice ancora in vita. Penso pure che da qualche parte devo avere il mio machete. E appena lo troverò ci sarà una nuovo compito per me. Una nuova affascinante missione per Ivan il Terribile!

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Pubblicato da ilgirodelmondoconunlibro

Mi chiamo Rita Massaro. Sono una persona curiosa. Mi piace scoprire gli innumerevoli volti del mondo e le infinite possibilità della vita. Per questo leggo e viaggio. Ogni tanto le mie perlustrazioni scatenano la mia immaginazione. E scrivo. Ho pubblicato nel 2011, con la Casa Editrice Absolutely Free, un romanzo di formazione dal titolo "L'estate è finita". Nel dicembre 2016 è stato pubblicato il mio secondo romanzo, "Sotto il cielo di Santiago", con la Casa Editrice Genesis Publishing. Nel 2018 "Prima che sia primavera" con Il Seme Bianco, pubblicato in seconda edizione con il titolo "La terra del lungo inverno" con Emersioni. Ho partecipato a vari progetti di scrittura collettiva, tutti pubblicati nel 2020: "La villa delle ombre", con Stefania Agnello e Maurizio Bono; "Non ho forza per arrendermi", con Letizia Lo Cascio; "A casa: Diario di una pandemia" con Monica Spatola. Potete contattarmi su Facebook al seguente link: https://www.facebook.com/ilgirodelmondoconunlibroinmano