L’angelo del crimine (El Ángel, Argentina/Spagna, 2018) di Luis Ortega con Lorenzo Ferro, Chino Darín, Daniel Fanego, Mercedes Morán, Cecilia Roth, Luis Gnecco
L’adolescente Carlos Robledo Puch nel 1971 nella fragile Argentina predittatoriale commise con freddezza numerosi crimini, tra rapine e omicidi. Lo arrestarono l’anno dopo, dal carcere non è più uscito. Dalla sua terribile storia traggono un film i produttori Agustín e Pedro Almodóvar (la “loro” Cecilia Roth è nel cast nel ruolo dell’affettuosa e ignara madre del protagonista), affidandone la regia a Luis Ortega, anche sceneggiatore con Sergio Olguín e Rodolfo Palacios. Il risultato è un biopic che parte piuttosto piano però penetra nell’immaginario spettatoriale, complici un’ironia occasionale e raggelante e l’aspetto cherubico dell’incosciente assassino (ringiovanito d’un paio d’anni dal plot), quasi anestetizzato dalla sua pretesa di libertà assoluta d’azione. Il senso del grottesco giunge al parossismo nel momento della cattura. Intanto abbiamo assistito all’incapacità e all’impotenza degli onesti genitori di Carlitos (il padre è l’ottimo Luis Gnecco), alla tranquilla complicità del compagno di scuola Ramón (Chino Darín, rampollo di Ricardo), figlio del connivente José (Daniel Fanego) e dell’acquiescente Ana María (Mercedes Morán), il quale sarà poi affiancato e sostituito da Miguel (Peter Lanzani). Insomma, le cieche e ferali attitudini del personaggio principale trovano, purtroppo, una sponda in coloro che lo circondano, meno audaci e tuttavia ugualmente marci (e opportunisti). Visione allarmante ma circostanziata.
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