Come tutti gli anni arrivano puntuali gli auguri per la festa della donna. E anche se molte di noi non sono del tutto convinte dell’utilità o del senso di questa festa, io penso che infine auguri e pensieri carini non possano far male. Eppure, quest’anno, l’8 marzo mi porta una riflessione. Mi piacerebbe che al posto delle mimose, gli uomini comprassero e leggessero un libro scritto da una donna. Mi piacerebbe che lo facessero spesso, non solo una volta l’anno. Non conosco le statistiche, perciò non so quanti libri scritti da donne leggano gli uomini. Magari ne leggono molti, pertanto questa mia riflessione ha poco senso.
Quello che so con certezza, però, è che per secoli le donne hanno letto libri scritti da uomini. In periodi in cui le donne erano considerate esseri inferiori, incapaci di pensieri elevati, indegne di nobili arti o discipline, tenute lontane dalla cultura perché una donna che leggeva poteva addirittura rivelarsi pericolosa, ciò nonostante le donne leggevano opere scritte da uomini. E si appassionavano e si immedesimavano in ciò che leggevano. E, forse, ciò le aiutava a comprendere l’universo maschile.
È passato del tempo prima che le donne potessero ufficialmente essere pubblicate, considerate scrittrici a tutti gli effetti, entrare nel mondo della letteratura. E, anche così, il pregiudizio ha accompagnato per molto tempo la scrittura femminile. Mi vengono in mente due esempi del XIX secolo… George Sand, ovvero Aurore Dupin, che così come tante autrici pubblicò i suoi romanzi utilizzando uno pseudonimo maschile, in quanto il pubblico medio riteneva le donne delle artiste di qualità inferiore; e Mary Shelley, la cui famosissima opera Frankenstein, uscita anonima in una prima edizione, per molto tempo fu attribuita al marito Percy Shelley, in quanto i critici ritenevano straordinario che una donna scrivesse una simile opera.
Sembra incredibile, eppure io credo e temo che quell’antico pregiudizio ancora oggi accompagni la scrittura femminile. Tante volte si sente parlare in giro di scrittura “femminile”, indicandola per antonomasia come una scrittura rivolta per lo più a un pubblico di donne, legata indissolubilmente al sentimento o alle emozioni. Sembra che la donna sia destinata a narrare un mondo interiore in cui soltanto altre donne possano riconoscersi e in cui un uomo può affogare in un mare di noia e retorica. Ma anche se così fosse (e così non è, perché ci sono bravissime autrici di libri che poco hanno a che fare con le tematiche di cui sopra), ammesso che davvero ci fosse una differenza fra scrittura femminile e scrittura maschile, perché mai gli uomini non dovrebbero leggere di emozioni e di sentimenti? Forse entrare in quel mondo non li aiuterebbe a capire meglio le loro compagne, i loro desideri, i loro bisogni, i loro pensieri, il loro mondo? Forse ciò non aiuterebbe ad avvicinare l’universo maschile a quello femminile? Chissà, magari, se gli uomini leggessero più libri scritti da donne ci scapperebbero meno femminicidi… o, forse, la mia è solo fantasia e le due cose non c’entrano nulla.
Ho sempre pensato che le più grandi differenze di genere nascano dall’educazione e dalla cultura. Mi auguro che sia vicino il giorno in cui non si parlerà più di scrittura “femminile”, ma di scrittura bella o brutta, a prescindere dall’autore. E che sempre più spesso i due mondi, anche nei libri, siano interscambiabili. Auguri a noi… uomini e donne… e che oggi sia la festa di tutti. Buona lettura!
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