Massimo Arciresi è critico e giornalista cinematografico, conduttore su Radio Spazio Noi – In Blu, dal 1997, della rubrica settimanale “Uscita di Sicurezza”. Ha collaborato con i quotidiani “Il Mediterraneo” e “L’Ora”, ha diretto il quindicinale sul tempo libero “TrovaPalermo” e attualmente scrive per il mensile “L’Inchiesta”. Appassionato di fumetti e lingue straniere.
Tutti i soldi del mondo (All the Money in the World, USA, 2017) di Ridley Scott con Michelle Williams, Mark Wahlberg, Christopher Plummer, Romain Duris, Charlie Plummer, Marco Leonardi
L’instancabile Scott tratta una triste vicenda risalente al 1973, narrata dallo scrittore John Pearson e messa in (claudicante) script da David Scarpa. Si parla del sequestro romano di John Paul Getty III, nipote del miliardario suo omonimo qui reso a meraviglia da un arido Christopher Plummer, che – pur essendo la prima e più appropriata scelta di casting – ha sostituito in corsa un grottescamente truccato Kevin Spacey, peraltro troppo giovane per il ruolo, dopo che questi è finito nel vortice scandalistico che sta travolgendo Hollywood. Un azzardo produttivo – sulla cui opportunità si potrebbe ragionare, ma l’insieme ne ha guadagnato – da 10 milioni che purtroppo non cancella le imperfezioni sparse dell’opera, legate soprattutto alla rappresentazione manichea dell’Italia dell’epoca (con dei mansi communists, per riportare il termine usato nei titoli di coda). Il rapito (Charlie Plummer, non imparentato con l’anziano collega omonimo), umiliato da estenuanti contrattazioni (il nonno non intende pagare, la squattrinata madre – vibrante la Williams – lotta), ha un angelo custode fra i carcerieri (Duris, incidentalmente credibile come calabrese), e non è l’unico dettaglio immaginabile. Tuttavia il film, attraversato da illustri “comparse” nostrane e assai vago riguardo al resto della famiglia del petroliere, descrive bene le derive d’una tirchieria patologica: il risvolto sulla statuetta “antica” ha una preziosa eloquenza.
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