– FOTO PRELEVATA DAL WEB –
È la fine di maggio, ma il cielo è carico di nuvole scure e minacciose. È trascorso solo qualche giorno da quando il mio ventunesimo compleanno è stato funestato da una bomba sull’autostrada, da quella che verrà per sempre ricordata come la strage di Capaci.
Ci siamo dati appuntamento a piazza Indipendenza… noi, che abbiamo finito il liceo da un paio d’anni e abbiamo preso strade diverse.
Siamo tutti ventenni, corpi freschi e scattanti, parecchi sogni e ideali nella testa. Qualcuno fa già progetti più concreti. Nessuno di noi, però, si preoccupa ancora della loro realizzazione e dei possibili fallimenti che ci attendono. Siamo giovani. È primavera. Fino a qualche giorno fa, la brezza leggera e l’odore del mare ci facevano pregustare l’estate che sarebbe stata. Un’estate di bagni, escursioni, concerti, serate a bere birra e a raccontarsi le solite cavolate sulla spiaggia fino a notte fonda, qualche marcia di solidarietà, poco studio, tanto gli esami all’università cominciano a settembre. E, invece, è andata diversamente.
Da piazza Indipendenza abbiamo fatto un bel po’ di percorso a piedi. Abbiamo superato il Palazzo dei Normanni, la Cattedrale, i Quattro Canti, scendendo attraverso l’antico Cassaro verso il mare, per poi svoltare a sinistra, all’incrocio con via Roma. Lungo il tragitto, un incredibile numero di persone dal volto pallido e tirato procede verso la stessa meta. Un silenzio strano ci accompagna e ci avvolge. Stiamo andando a un funerale. Sui balconi sono comparse lenzuola bianche, senza scritte. Non c’è bisogno di parole, ne sono state dette fin troppe. L’eccessivo parlare può fare vuoto quanto il silenzio. In questo momento c’è spazio solo per sentimenti che non riescono a esprimersi.
Dolore. Rabbia. Vergogna. Soprattutto vergogna. Per tutti gli anni della nostra accondiscendenza a chi diceva che non erano affari nostri, perché tanto “si ammazzano fra loro”. Non ci riguardava quella strage infinita di poliziotti, magistrati, giornalisti, semplici cittadini onesti. Potevamo rimanere a guardarla in TV, come una puntata della “piovra”. Tutto quel sangue che scorreva a fiumi nelle nostre strade non ci faceva impressione. Eravamo talmente abituati che quelli della mia generazione sono cresciuti pensando che un morto ammazzato qua e là, ogni tanto, fosse una cosa normale.
Oggi, però, qualcosa è cambiato. Lo si respira nell’aria in questa mattina di fine maggio. Il fragore di quella bomba sull’autostrada è stato troppo assordante e ha risvegliato pure i morti. I morti si guardano l’un l’altro, sconvolti e atterriti, e intuiscono che non potranno facilmente rimettersi a dormire, se non vogliono che gli incubi prendano il posto dei sogni. Forse, nel nostro silenzio, oltre al dolore, alla rabbia e alla vergogna nasce, come un piccolo germe, anche una domanda… che riguarda il futuro. Per adesso, ci ritroviamo a camminare tutti insieme, in questo silenzio irreale di un tempo che si è fermato, verso piazza San Domenico.
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