– FOTO PRELEVATA DAL WEB –
Ci sono istanti che possono cambiare la vita. La felicità è un attimo, ma a volte dipende anche da noi e dalla nostra capacità di afferrarla, trattenerla, non respingerla, costruirla faticosamente. A volte dipende anche da noi e dalle nostre scelte…
Mi pare di udire una cantilena di preghiere in lontananza. Deve trattarsi di una delle tante processioni che attraversano il centro storico la sera del Venerdì Santo. Il rumore cadenzato e lento dei passi si avvicina sempre più, insieme alle parole indistinte del celebrante, seguite poco dopo dal coro dei fedeli.
Antonio si sta asciugando con un fazzoletto il sangue che gli cola dal naso, ma la mano gli trema visibilmente. Giulia gli si avvicina, guardandolo con tenerezza. So che dovrei voltarmi e andarmene, lasciarli soli. E, invece, qualcosa mi trattiene. È come se avessi i piedi incollati al pavimento.
Questa scena passa e ripassa spesso nella mia mente, come la scena di un film che guardo al rallentatore. Cerco di individuarne anche le sfumature, qualcosa che può essermi sfuggito. Perché, ogni volta, è come un puzzle che non riesco a completare. C’è un frammento che mi sfugge e che cerco disperatamente da tutta la vita. Una tessera mancante nel mosaico dell’esistenza o, almeno, della mia idea dell’esistenza. Nella realtà la scena è durata pochi secondi.
Lei gli accarezza il volto, prende il fazzoletto dalle mani di lui e fa il gesto di asciugargli il sangue, ormai quasi completamente rappreso. Lui le sussurra qualcosa all’orecchio, lei lo abbraccia e gli appoggia la testa su una spalla, lui affonda la testa nei suoi capelli. Qui la mia sensazione di disagio aumenta. Sono un’intrusa, testimone di qualcosa di troppo intimo a cui non avrei dovuto assistere. Li lascio così, abbandonati l’uno nelle braccia dell’altra. La processione deve essersi fermata proprio nella stradina adiacente al palazzo, dinanzi al portone, il coro di preghiere si leva più forte. Giro i tacchi e comincio a risalire lo scalone, ma non faccio più di tre gradini, quando, nonostante la risonanza delle voci provenienti dall’esterno, riesco a distinguere uno strano scalpiccio alle mie spalle, un’esclamazione insofferente. Mi volto di nuovo a guardarli e li vedo ora distanti, l’uno di fronte all’altra.
«Perché, Giulia? Perché?», il suo tono è quasi disperato.
«E tu perché non vuoi dirmelo?», gli urla lei, con rabbia.
Lui la guarda arreso, come se si fossero detti tutto, come se non ci fosse più speranza. Apre il portone e se ne va. Istintivamente, scendo di corsa le scale e raggiungo l’ingresso. Non so cosa mi passa per la testa, tentare di richiamarlo o inseguirlo sarebbe assurdo. Mi ritrovo innanzi ai centurioni romani, con le fiaccole accese che illuminano il buio della stradina.
Penso che non può finire così. Forse, anche Giulia in questo istante lo sta pensando. Ma non fa niente. Rimane immobile a fissare il portone, come una statua di cera che ha rischiato di liquefarsi per il troppo calore.
Con il tempo ho compreso che è proprio questo il problema della felicità. Sembra lì, a portata di mano… ma si scioglie al calore che essa stessa emana. Eppure, quando arriva, non è un sogno… È lì, presente e pressante, al punto da farci scoppiare il respiro.
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Aspetto il libro; son sicuro che sarà bello intenso e coinvolgente come quasto assaggio. 🙂
Grazie Sabino! Mi fai un grande onore… a presto!