Massimo Arciresi è critico e giornalista cinematografico, conduttore su Radio Spazio Noi – In Blu, dal 1997, della rubrica settimanale “Uscita di Sicurezza”. Ha collaborato con i quotidiani “Il Mediterraneo” e “L’Ora”, ha diretto il quindicinale sul tempo libero “TrovaPalermo” e attualmente scrive per il mensile “L’Inchiesta”. Appassionato di fumetti e lingue straniere.
Downton Abbey (id., GB, 2019) di Michael Engler con Hugh Bonneville, Elizabeth McGovern, Allen Leech, Maggie Smith, Michelle Dockery, Tuppence Middleton
Eccezionale successo, l’esportabile serie tv britannica Downton Abbey (2010-15). Senza modificarne l’inclita sostanza, Michael Engler, regista di alcune puntate dell’ultima fase, dirige la versione cinematografica, formalmente impeccabile (grazie, in primis, all’elegante fotografia di Ben Smithard, alle lussureggianti scenografie – soprattutto interne, visto che quasi non ci si sposta dall’immaginaria magione nello Yorkshire del titolo – di Donal Woods, ai sontuosi costumi di Anna Robbins), il che porta a rimarcare la legittima scelta di non provare nemmeno a modulare ritmo, tipologia degli eventi, impiego dello humour per il comunque privilegiato – non capita così spesso – passaggio al grande schermo, lasciando immutati sfondo (anni ’20) e nutrito e apprezzato cast (con la gradita aggiunta – sola, irrinunciabile differenza – di un pugno di personaggi, come la dama di compagnia di Tuppence Middleton o i reali). La trama si riallaccia argutamente agli episodi finali, con il conte Robert Crawley (Bonneville), sua moglie Cora (McGovern), il compito parentado e i domestici in subbuglio per l’imminente visita di re Giorgio V. Per preparare una perfetta accoglienza è richiamato pure il maggiordomo in pensione Carson (Jim Carter), tuttavia saranno gli arroganti valletti della corona, mandati in avanscoperta, a creare conflitti (non gli unici). La troppa voglia di chiudere in bellezza intacca l’invidiabile compostezza del film.
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