AMORE MIO AMATISSIMO, Rita Massaro

racconto– FOTO PRELEVATA DAL WEB –

Questo racconto è stato selezionato per essere inserito nell’antologia (WO)MEN IN GIALLO – Brividi alla tastiera, del Gruppo Letterario delle WOMEN@WORK, a cura di Costanza Bondi e Viviana Picchiarelli – Jean Luc Bertoni Editore.

“In trentadue storie, dalle cifre stilistiche e narrative profondamente eterogenee, gli autori e le autrici selezionati, ci conducono attraverso le infinite declinazioni di uno dei più affascinanti generi letterari, regalandoci brividi in punta di tastiera”.

AMORE MIO AMATISSIMO

Amore Mio Amatissimo,

scusa, dovrei cominciare con il luogo e la data.

Palermo, 19 febbraio 1911. O 1912? Ho sempre problemi con i numeri e le date. Il giorno, però, me lo ricordo. L’ho letto e riletto su quel biglietto.

È che stamattina mi sento confusa. Tutti quei poliziotti in casa a fare domande. E i vicini impiccioni, qui fuori, a elargire i loro stupidi e malevoli commenti. “Chi avrebbe potuto immaginare? Una coppia così affiatata. Una famiglia meravigliosa”. Ipocriti e bugiardi!

Mi hai sempre rinfacciato che ti ho sposato per i soldi. Ricordo quando mi portasti in questa villa maestosa, nel cuore liberty della città. Mai avrei pensato che sarei entrata in una delle fantastiche dimore che popolavano i miei sogni. Eppure non ti ho sposato per i soldi.

Cercavo sicurezza, ma non economica. Tu sei stato la spalla sulla quale ho pianto, la forza che mi ha aiutata a superare le disgrazie che hanno investito la mia famiglia… la morte di mio fratello, il crollo di mio padre, la malattia di mia madre. Con il tuo camice bianco, ti prendesti cura di lei e mi sembrasti un angelo. Non riuscivo a credere che ti potessi interessare a me. Sei stato il conforto, il porto sicuro, la conferma che la vita può cambiare in un solo attimo.

Ancora non ho compreso cosa non sia andato per il verso giusto. Quando sono nate le bambine, ho creduto che la nostra felicità fosse perfetta. È trascorso un po’ di tempo prima che mi rendessi conto che tu non mi stimavi e non mi apprezzavi. Già dopo pochi mesi avevi cominciato a criticarmi. Non ero degna di te e del mio nuovo rango. Non ti piaceva come vestivo, come parlavo, come mi muovevo. Dovevi insegnarmi tutto ciò che si conviene a una donna dell’alta società, alla moglie dell’uomo importante che avevo sposato.

All’inizio pensavo che tu avessi ragione. Credevo che fosse l’amore che provavi a volermi rendere migliore. Giorno dopo giorno, però, ho dovuto convincermi che non era così. Mi trovavi sempre più vuota, stupida e appariscente. E, fisicamente, sempre meno desiderabile. La tua gelosia, che avevo creduto frutto di un sentimento sincero, era in realtà volontà di affermare e difendere una tua proprietà. Quando un uomo mi guardava compiaciuto e tu avevi la sensazione che io gradissi o ricambiassi quello sguardo, non era il tuo cuore a soffrirne, ma il tuo orgoglio di marito offeso.

Perché mi hai sposata? Cosa sono stata per te? Il capriccio di un momento di follia? O c’è stato un tempo, anche la frazione di un istante, in cui mi hai amata veramente? Non lo saprò mai. Oppure l’ho sempre saputo e il mio cuore si è rifiutato di credere.

Sembrava che avessimo raggiunto un equilibrio. Tu mi soffocavi. Nondimeno io avevo trovato un conforto nella maternità e nella lettura dei libri. Ho notato che molti, nella grande libreria dello studio, non erano mai stati sfogliati. Mi è sembrato strano. Voi, con tutti i vostri titoli e le vostre lauree, non li avete neppure aperti. Forse non li avete mai considerati letture degne di voi, i romanzi. Eppure, quante cose vi ho appreso, quanta consolazione vi ho trovato.

E poi ti sei messo in testa quell’idea odiosa che avevo un amante. Per la verità, non credo sia frutto esclusivo della tua fantasia. Qualcun altro deve averci messo lo zampino. Forse, una delle tue amanti. O tua madre o una delle tue sorelle, che non mi hanno mai considerata alla tua altezza e mai hanno nascosto il loro disprezzo. O uno dei tuoi amici, per vedere come andava a finire e divertirsi alle tue spalle. Solo tu puoi sapere la verità e non verrai a dirla a me. Non più, ormai.

Io so soltanto che, a un certo punto, la vita è diventata un inferno. Pretendevi che vivessi come una reclusa, che questa villa diventasse la mia prigione di lusso. Potevo uscire solo in tua compagnia e, persino quando andavo a trovare mia madre, dovevo essere accompagnata da qualcuno. E, infine, quella scenata alla festa di Capodanno. Vittorio era tuo amico. Un vero amico. I tuoi sospetti erano caduti su di lui perché era l’unico che, ogni tanto, veniva a trovarci. L’unico che abbia provato a farti capire che stavi annientando la mia persona e la nostra famiglia. E tu hai pensato che lo dicesse per il comodo suo.

Io, quella sera, ero felice sol perché era da tanto che non andavo a una festa. Tutte quelle luci, i candelieri d’argento, le tovaglie di pizzo, il riflesso degli specchi sugli affreschi con i trionfi di fiori e frutta nel grande salone. E il sorriso della bellissima Donna Franca, così eterea e carnale al tempo stesso. Tutto faceva credere ai sogni che si realizzano, alle infinite possibilità dell’esistenza su questa terra. Era di questo che stavo parlando con Vittorio, quando ci hai sorpresi nel salottino di donna Nunzia. Quell’uomo cercava di darmi speranza. E tu, invece, ti sei scagliato su di lui con uno sguardo allucinato, che lasciava intendere come la ragione avesse lasciato il posto alla follia.

Quello che non sapevi, che non avresti lontanamente immaginato, era che il mio amante ce l’avevi dentro casa. Tutti i giorni. Tutte le notti. Il punto è che tu non lo vedevi. Non potevi considerare un uomo e, quindi, un tuo possibile rivale, qualcuno che facesse parte del personale di servizio. Un autista. Uno che era pagato per obbedire ai tuoi ordini e ai tuoi desideri. Per te i servitori non sono persone, sono solo un prolungamento, uno strumento della tua volontà. Così come dovevo essere io. Li ricopri di disprezzo, esattamente come fai con me. Per questo ci siamo riconosciuti.

Le umiliazioni subite da te sono state il collante che ha fatto scattare la scintilla. Il fuoco a cui ci hai sottoposti bruciava al punto che ci ha fusi in un unico metallo, creando un legame inscindibile. Ricordo la prima volta che ci siamo capiti. Tu mi avevi appena fatto una scenata in auto. Poi, gli ordinasti di accompagnarmi da mia madre. Domenico, invece, senza dirmi nulla, mi portò al mare. Era una giornata ventosa, ma non fredda. Passeggiai sulla spiaggia di Mondello, guardando i flutti che sembravano sfogare la mia rabbia e la mia disperazione, collassando ai miei piedi, sulla sabbia. In quel momento desiderai di essere libera, come quelle onde. Lui mi seguiva, a breve distanza. Ci guardammo.

È giovane Domenico, troppo giovane per non avere dei sogni. Le sue speranze non sono ancora state calpestate e frantumate dalla cruda realtà. Progetta di andare in America, dove ha dei parenti. Pensa che lì ci sia un mondo nuovo, in cui chiunque ha la possibilità di diventare ciò che vuole e di realizzare se stesso. Soltanto con le proprie capacità e la forza di volontà. T’immagini che sognatore? Gliel’ho ripetuto più volte che non può esistere un posto così. Lui, però, insiste affinché io lo segua. Dice che lì ci potremo amare liberamente, senza essere giudicati. Che nessuno darà importanza a chi siamo e al nostro passato. Io gli ho risposto di no. Non potrei mai abbandonare le mie figlie. La legge sarebbe dalla tua parte e non avrei nessuna speranza di rivederle.

Ma Domenico non ci sente. Ha messo da parte i soldi e ha comprato il biglietto anche per me. Quando me l’ha dato, mi ha detto che pregherà fino all’ultimo istante di vedermi arrivare sulla banchina del porto, prima della partenza. E io ci ho pensato. Ho immaginato tante volte quelle navi che salpano, portandosi dietro un mare di speranze o magari illusioni e lasciando a terra dolori e amarezze. Ma non avevo cambiato idea fino alla festa. Lì, per la prima volta, ho visto la violenza dei tuoi pensieri tramutarsi in azione. L’odio dei tuoi occhi è scivolato sui nervi tesi e ha guidato la tua mano. E ho capito che rimanere con te sarebbe stato come morire. Una vita vissuta nel terrore e nell’angoscia non ha il diritto di chiamarsi vita. Non voglio che le mie figlie imparino che questo è il destino immutabile di una donna. Ho pensato che, forse, in questo caso, avrebbero avuto di più dal mio abbandono fisico che non dalla mia resa morale. E ho preso la mia decisione. A quella avrei dovuto attenermi.

Invece, stamattina, mi sono lasciata guidare dalla nostalgia. Ero scesa all’alba, senza far rumore, portando con me poca roba, l’indispensabile. Dovevo solo arrivare in tempo, prima che la nave salpasse. Una lettera, da consegnare alle mie figlie quando saranno in grado di capire, l’ho lasciata a Vittorio. Poi, mi sono ricordata degli ultimi disegni delle bambine, un regalo di qualche giorno fa. E sono tornata per portarli con me.

Tu eri lì, ai piedi della scala. Mi hai vista rientrare, con quella borsa in mano, e hai capito. È andata così. Non poteva andare diversamente. Non va mai diversamente. Ciò che mi risulta incomprensibile è il motivo di tanto accanimento contro quel mio povero corpo sventrato e ormai senza vita. Trentasette coltellate. Continuavi a colpire, senza riuscire a fermarti, come se il sangue potesse lavare l’offesa che ti avevo fatto. O purificare quello che tu stavi facendo.

Lo so, te la caverai con poco. È un delitto passionale. È colpa mia, che ti ho tradito e ti stavo abbandonando. È quello che penseranno. E succederà ancora, per molto tempo. Molte cose cambieranno. Ma certe cose sono dure a morire.

Le nostre figlie si sposeranno, ma non dimenticheranno. Ada si toglierà la vita subito dopo il primo figlio, Lia verrà chiusa in manicomio da suo marito. Questa villa, di cui vai tanto fiero, scomparirà. Tuo nipote la darà via, in cambio di qualche appartamento in un anonimo palazzo. Verrà rasa al suolo, insieme a tutte le altre, per far posto alle speculazioni mafiose. Rimarranno simboli di un passato glorioso soltanto sui libri.

Tu ti risposerai con una fanciulla di nobili natali. Sarai tradito e depredato. Finirai i tuoi giorni in un ospizio, solo e abbandonato.

Io, invece, sto volando. Mi sto librando nel cielo, sopra le spume del mare che si infrangono sul bastimento. Sto avvolgendo i suoi capelli bagnati, che profumano di sale e di amore.

Addio,

Assassino Mio Amatissimo

FINE

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Mi chiamo Rita Massaro. Sono una persona curiosa. Mi piace scoprire gli innumerevoli volti del mondo e le infinite possibilità della vita. Per questo leggo e viaggio. Ogni tanto le mie perlustrazioni scatenano la mia immaginazione. E scrivo. Ho pubblicato nel 2011, con la Casa Editrice Absolutely Free, un romanzo di formazione dal titolo "L'estate è finita". Nel dicembre 2016 è stato pubblicato il mio secondo romanzo, "Sotto il cielo di Santiago", con la Casa Editrice Genesis Publishing. Nel 2018 "Prima che sia primavera" con Il Seme Bianco, pubblicato in seconda edizione con il titolo "La terra del lungo inverno" con Emersioni. Ho partecipato a vari progetti di scrittura collettiva, tutti pubblicati nel 2020: "La villa delle ombre", con Stefania Agnello e Maurizio Bono; "Non ho forza per arrendermi", con Letizia Lo Cascio; "A casa: Diario di una pandemia" con Monica Spatola. Potete contattarmi su Facebook al seguente link: https://www.facebook.com/ilgirodelmondoconunlibroinmano