L’UOMO CHE VIDE L’INFINITO (The Man Who Knew Infinity, GB, 2015) di Matt Brown con Dev Patel, Jeremy Irons, Toby Jones, Devika Bhise, Jeremy Northam, Stephen Fry
Di biopics infiocchettati al cinema ce ne sono tanti. Dignitosi perlopiù, però tendenti a romanzare. Non fa eccezione il film di Brown, realizzato a 15 anni dal suo esordio e fastoso nella riproduzione d’epoca, incentrato sull’exploit del geniale matematico Ramanujan (il Patel di The Millionaire, per una volta “arginato” nella recitazione), indiano di umili origini trasferitosi a Cambridge nel periodo della Grande Guerra su invito del professor Hardy (Irons, al quale il ruolo calza a pennello) dopo che quest’ultimo ricevette delle lettere contenenti alcuni strabilianti saggi del giovane. Il fatto è che l’ospite, che ha lasciato nella sua povera casa l’amorevole moglie Janaki (Bhise) con la promessa di portarla con sé successivamente, ha un innato talento per i numeri derivante da un intuito prodigioso, soprattutto considerata la sua estrazione, ma è allergico alle dimostrazioni, che invece per l’ambiente azzimato in cui si trova sono fondamentali. Le manifestazioni di ostilità – un po’ a tutti i livelli – non tardano ad arrivare, e perfino i rapporti e la sostanziale amicizia tra il docente e il disallineato discente (benché i ruoli siano in effetti intercambiabili) si incrinano. Rallentata da qualche ingenuità (soprattutto la mancanza di precauzioni nel trattamento della tubercolosi), l’opera – dalla biografia scritta da Robert Kanigel – comunque riporta alla luce un personaggio che lo merita. Northam è Bertrand Russell.
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